La riscrittura dell’affidamento condiviso e le “distrazioni” del sen. Pillon

 

Non rispondo mai agli attacchi personali – li considero una perdita di tempo – ma è mio dovere di presidente replicare alle critiche mosse all’associazione dal senatore Pillon in un lunghissimo intervento su facebook, del quale solo ora ho avuto casualmente notizia.

Anzitutto preciso di avere inviato personalmente al senatore da alcuni mesi il testo attuale della proposta di Crescere Insieme, pregandolo di adottarlo. Quindi è da tempo nelle sue mani. Inoltre, abbiamo avuto modo di tornare telefonicamente a confrontarci tanto che nell’ultima di queste occasioni il senatore si è convinto a introdurre un paio di essenziali modifiche al suo testo, come quella che se un genitore può e vuole fruire di tempi uguali il giudice non può dirgli di no. In aggiunta, è stato eliminato il termine “adeguati” ai tempi, ma il proponente non ha voluto saperne di eliminare anche “equipollenti”. Tutto questo anche per dire che non esiste da parte di Crescere Insieme una ostilità pregiudiziale, ma solo una fortissima preoccupazione per le gravi debolezze del ddl 735. Insomma, il sottocritto, unitamente all’amico Andrea Bocelli che cito non a caso, sono assolutamente concordi nei confronti degli obiettivi, ma questo non vuol dire che sottoscriverebbero quell’articolato. Evitiamo di fare una interessata confusione.

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Il ddl 735 tra astuzie e ingenuità

Marino Maglietta – I contenuti del ddl 735 sulla riscrittura dell’affidamento condiviso presentano tali scompensi rispetto agli scopi annunciati che si può essere perfettamente comprensibili nell’evidenziarli anche spendendo un minimo di parole.

Se il sistema legale non avesse avversato e sabotato il modello bigenitoriale oggi non esisterebbe alcun problema. Si parla di “legge tradita” perché la si considera inosservata, ovvero si ammette che le sue prescrizioni non siano rispettate, ovvero che il sistema legale non voglia saperne di un modello del genere. Questo, però, vuol dire che anche oggi ci si deve attedere che ogni minimo spiraglio verso la disapplicazione dei principi che la nuova proposta possa offrire sarà accuratamente cercato e abilmente sfruttato; che le sue smagliature siano auspicate e gradite, per la possibilità che darebbero di ripetere il gioco di continuare come nulla fosse.

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Le basilari criticità del DDL 735 (Pillon et al.)

E’ finalmente disponibile il nuovo testo che dovrebbe disciplinare l’affidamento condiviso. E’ definito come “ultimo e definitivo”; ma speriamo di no. Ed ecco perché.

DDL 735 Al Senato

Cominciamo dall’introduzione. Della legge attualmente in vigore si dice: “in Italia solo nel 2006 ... si è riusciti a far passare come forma privilegiata l’affidamento formalmente (o legalmente) condiviso nel 2006. Il risultato, però, è stato fallimentare: in Italia l'affido a tempi paritetici è stimato intorno all'1-2%”. Attenzione: la legal joint custody non prevede affatto tempi uguali. Una banale ricognizione su Wiki permette di appurare che comporta soltantola condivisione paritetica delle decisioni che hanno significativi riflessi sulla vita dei figli: dalla scelta della scuola a quella del medico o di terapie anche banali. Dunque, se fosse vero che in Italia abbiamo un affidamento condiviso solo legale tutta la giurisprudenza sarebbe perfettamente nel giusto. Insomma, se passa questo punto di vista, tutti i genitori che hanno in corso cause per la pariteticità sostanziale le perderanno senza possibilità di appello. Perché legalmente avrebbero torto. Per fortuna così non è ( e speriamo che non sarà, visto che il ddl su questo si basa). Il diritto dei figli alla bigenitorialità è sostanziale, non è formale. Lo dimostra ogni passaggio della legge in vigore, dal paritetico diritto alla “cura” alla forma diretta del mantenimento, riconosciuta “di legge” da tutta la dottrina.

 Allora perché il DDL fa questa confusione tra legge e prassi? A cosa gli serve? Serve a sostenere che il “paracadute” della legge del terzo del tempo, anche se legalizza la discriminazione, rappresenta un passo avanti. Vero, se lo paragoniamo alla prassi, falso se lo confrontiamo, come logicamente obbligatorio, alla legge attuale, che prevede il 50%. In realtà, dunque, questa concessione è un suicidio. Anche perché i 12 giorni al mese (orrenda statuizione, perché il mese non è unità utilizzabile in un ordinario calendario di frequentazione: si può immaginare il contenzioso che ne deriverebbe) non sono affatto garantiti. Si legga bene: il paracadute si aprirà “salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio” in caso di situazioni altamente opinabili come la “trascuratezza” e la “inadeguatezza degli spazi”. A parte in fatto che già per il primo punto (violenza) vedo spuntare come funghi referti ospedalieri veri o falsi, cosa accadrà alle famiglie povere già in partenza, quali garanzie per i padri che oggi dormono in macchina e mangiano alla Caritas (ma basterà un disagio molto minore)?

Insomma, che scompare il “collocatario” è assolutamente falso, in termini teorici e pratici, una svolta che il DDL non si propone proprio, strutturalmente. Basta leggere, ad es., l’art. 18 comma 2: “ Il Giudice ... può in ogni caso disporre l'inversione della residenza abituale del figlio minore presso l'altro genitore”, dove si insinua tranquillamente il concetto di “residenza abituale”, l’esatto opposto della frequentazione paritetica.

Dunque il collocatario ci sarà. Ma, se c’è un collocatario, adesso legalmente e ufficlamente e non di straforo, ne seguirà a maggior ragione ciò che già oggi la dottrina (Foro italiano, 4 aprile 2017, p. 185) sostiene: “l’individuazione di un genitore collocatario, preferenziale, rende inevitabile (oltre che altamente opportuna) la previsione, a carico dell’altro, di un assegno di mantenimento, che non è perequativo”. E così cade anche il secondo caposaldo del contratto di governo, il mantenimento diretto (del resto supportato pressoché esplicitamente dal DDL anche in altri passaggi, come quelli sulle “spese straordinarie”, che altro non sono che le voci fuori “assegno”).

Ma, esistevano ed esistono alternative a queste formulazioni? Certo. La pdl 1403 (Bonafede et al., aggiornata nel ddl 2014, ad esempio) prescrive tempi uguali “salvo i casi di impossibilità materale”. Punto: non ammette altre eccezioni. Chi scrive ha inviato quel testo, aggiornato ai successivi interventi, al primo firmatario del DDL più di due mesi fa pregandolo (anzi, scongiurandolo) di adottarlo; ma senza successo. Il problema, infatti, non è occasionale, puntuale: è sistematico, di impostazione. A prescindere dalle intenzioni, in concreto irrilevanti, ciò che si fa passare è un modello intermedio tra le richieste dell’utenza e il punto di vista della maggior parte degli operatori del sistema legale: questa è la realtà, che si riflette in ogni affermazione del DDL: dall’assegnazione della casa all’ascolto dei figli, dai cambiamenti di residenza al trattamento riservato al figlio maggiorenne. Aprirsi agli emendamenti è sicuramente apprezzabile e virtuoso: ma come si fa a emendare un testo che appartiene concettualmente a un’altra filosofia? E’ come voler organizzare un pranzo di nozze per ospiti tutti vegetariani in una trattoria toscana dove si servono affettati e arrosti e dire ai convitati “Se qualcuno vuole qualcosa di diverso lo dica al cuoco, che glielo prepara...”.

Concludendo, forse una convinta e omogenea pressione degli interessati (ad es., anche delle associazioni di mediatori, che si stanno trovando un dettagliatissimo articolato senza avere potuto aprire bocca preventivamente) potrebbe indurre il futuro relatore a costruire ex novo il testo base. Non c’è che augurarselo. (Marino Maglietta)

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